Capitolo XI
Arrivò a casa che la nebbia e le ombre della sera si erano già impossessate della città. Abitava all'ultimo piano di un bel palazzo d'epoca, un attico con due meravigliose terrazze che guardavano i tetti delle case del centro. Una vista magnifica. Si arrivava fino al quarto piano con l'ascensore poi le ultime due rampe di scale si facevano a piedi. Non era comodissimo, ma serviva ad isolare il suo appartamento dal condominio. Nessuno che gli girasse sopra la testa, nessuno che passasse di lì per caso. Ci si doveva proprio voler arrivare e bisognava anche sapere che quella porticina del quarto piano dava sulle due scale che portavano da lui. Aveva accuratamente evitato di mettere insegne o cartelli che indicassero il suo studio. Meno gente ne era a conoscenza e meglio era. "Sei un orso" gli dicevano i pochi amici che lo frequentavano. Un orso, ebbene sì. Non che rifiutasse la compagnia, anzi, era molto contento quando poteva parlare con gli altri, ma quella solitudine gli era indispensabile per concentrarsi e lavorare. C'era un gran silenzio a casa sua, non ostante il palazzo fosse ubicato in una via del centro molto trafficata. Era per via del piano alto, dei doppi vetri e della posizione dello studio che dava sul retro. È incredibile quanto possano risultare acusticamente isolanti le pareti dei palazzi. Da quella sala la vista era superba: quasi si poteva toccare la cupola della chiesa di San Salvatore, circondata da vecchi palazzi con i, tetti rossi di tegole antiche, standosene comodamente seduti in poltrona. Quella sera la nebbia produceva un effetto flou suggestivo, con dei tenui riflessi dorati dati dai lampioni della strada.
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Senza accendere la luce si sedette e ammirò quello spettacolo che continuava ad affascinarlo non ostante fossero passati tanti anni dalla prima volta. Mise un disco. Brahms, ballata opera 10, numero 1: creava l'atmosfera adatta per quel momento, triste e malinconica come la nebbia che accarezzava la chiesa. Stava vivendo uno dei rari momenti in cui la solitudine non pesa, diviene anzi un'amica discreta che ti fa compagnia. Non era ancora vecchio abbastanza da associare a quell'atmosfera il senso della morte e dell'abbandono. Alla sua età ogni problema era destinato a risolversi positivamente e la solitudine non faceva paura perché sapeva che presto si sarebbe trasformata in compagnia, in un modo o nell'altro. Poteva permettersi, in quei momenti, di dare libero sfogo ai suoi pensieri, anche a quelli più privati e segreti e li avrebbe rivelati solo all'opera del suo lavoro, che fosse una fotografia o un nastro registrato.
L'occhio si posò sul nastro del Revox dove aveva inciso la cartolina della nonna. Decise che quello era il momento opportuno, e si mise al computer per lavorare sulla registrazione.
"Na maraveja, che t'aggio, a dicere..." badava a ripetere la nonna dal suo tempo lontano. E poi? Poi cos'altro diceva?
A forza di manipolare la registrazione, le parole cominciavano ad essere meno indistinte e quella vocina femminile che sapeva d'antico, gli porgeva il suo messaggio rimasto sconosciuto fino ad allora. "Benedetta, Benedetta, figlia mia! Ma che... scccc, scccc, scccc... Na maraveja, che t'aggia a dicere scccc..." «Chi sei, nonna? Chi è Benedetta?»
Senza volerlo le ...............
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